La fiaba di Aladino
Per vincere la diffidenza di Aladino, perciò, il mago non esitò a consegnargli un anello.
"Mettilo al dito, non togliertelo mai. È un anello magico: ti sarà d’aiuto in tante occasioni. In cambio, tu per me dovrai fare una cosa: portarmi la piccola lampada che troverai in fondo alla caverna".
Incuriosito, Aladino a quel punto decise di spostare il macigno.
Sotto c’era una scala che scendeva, profondissima, e il ragazzo la discese. Si trovò così in una grandissima caverna, con degli alberi meravigliosi dai cui rami pendevano, invece dei frutti, grappoli di brillanti, e ce n’erano da riempire cento sacchi, a raccoglierli.
Aladino non sapeva che cosa fossero i brillanti, però il loro luccichio gli piacque. Così ne colse alcune manate e se ne riempì le tasche.
Vide anche la lampada. La prese, e cominciò a risalire verso l’imboccatura della caverna, dove il mago lo attendeva sempre più impaziente.
"Dammi la lampada, presto", gli ordinò il mago.
Era sua intenzione, non appena ottenuto ciò che gli stava a cuore, far ricadere il ragazzo nel baratro per lasciarvelo morire.
"No, prima voglio uscire", s’insospettì Aladino.
"Prima la lampada!".
"No. Prima mi tiri fuori!".
A questo punto il mago, arrabbiatissimo, disse una formula magica e l’imboccatura del sotterraneo si richiuse sul povero Aladino che, disperato, piangeva a dirotto. E mentre piangeva, passava inavvertitamente le dita sull’anello, strofinandolo.
Sappiamo già che l’anello era magico. Sollecitato a quel modo, esso rivelò subito i suoi poteri. Infatti, in una luce abbagliante, davanti ad Aladino apparve un genio.
"Comanda cosa vuoi", disse il genio ad Aladino inchinandosi, "e io ti accontenterò".
"Riportami subito a casa", fu la richiesta.
In men che non si dica, il ragazzo si ritrovò dalla madre, le mostrò le pietre preziose e la lampada che aveva con sé.
La donna trasalì, comprendendo la straordinarietà di quanto vedeva.
Nervosamente si mise a pulire la lampada che, essendo magica, era la casa di un genio ancor più potente di quello dell’anello.
Richiamato da quel gesto, il nuovo genio subito le comparve davanti.
"Sono al tuo servizio", s’inchinò. "Ordina e io ti esaudirò".
Fino ad allora, nella povera casa di Aladino si era sofferta la fame, perciò ella chiese una tavola imbandita con gustose vivande e buon vino.
Immediatamente la tavola fu apparecchiata: una tavola principesca, che ritornò tutti i giorni, due volte al giorno.
Sostenuto dalla buona sorte, Aladino smise di oziare, lavorò, si dette buon nome. La gente giunse persino a lodarlo, a riverirlo.
Un giorno Aladino intravide, non visto, la bellissima figlia del re che usciva a passeggio. Non visto, in quanto se ne stava nascosto perché, quando la principessa usciva in pubblico, tutti dovevano rinchiudersi in casa e non ardire di alzare gli occhi su di lei, pena la morte.
Ma la curiosità aveva indotto il giovane a dare una sbirciatina. E subito se ne innamorò.
"Madre, voglio sposare la principessa".
"Oh, povero figlio mio. Sei impazzito?", trepidò la donna.
"Mai stato più in senno, madre. Ecco qui una ciotola di brillanti. Vai in udienza dal re, che ti riceverà. E tu, offrendogli un dono così strabiliante, gli dirai che glielo mando io, e che voglio sposarne la figlia".
Tremando di paura per l’ardire, la madre di Aladino si recò dal re, e fece ciò che le aveva detto il figlio.
Visto l’inestimabile tesoro recatogli in dono, il re si rallegrò. Se regalava simili ricchezze al suo re, quel giovane ben poteva essere lo sposo della principessa.
Per celebrare degnamente le nozze, Aladino strofinò la lampada e chiese al genio di costruirgli un palazzo più bello di quello del re.
E subito, ecco sorgere dal nulla la nuova, meravigliosa dimora di Aladino e della sua sposa.
Tutto, dunque, sembrava procedere per il meglio. E non ci sarebbero state complicazioni di sorta nella vita dei due, se non fosse accaduto che il mago che aveva cercato d’ingannare Aladino, rimpiangendo continuamente la lampada perduta, non avesse insistito nei suoi esperimenti per sapere che cosa ne fosse stato del ragazzo, se egli fosse morto davvero nel profondo della caverna.
Seppe così che non solo Aladino era vivo, ma possedeva, oltre all’anello, anche la lampada magica. Perciò, pieno di stizza, ripartì alla volta dell’Arabia.
Quando vide lo splendido palazzo di Aladino, una rabbiosa invidia prese a tormentarlo. Non volendosi arrendere alla fortuna dell’altro, si travestì da mercante, attese che Aladino accompagnasse il re in un viaggio nei reami vicini, si fece ricevere dalla principessa e, un po’ con parole sdolcinate, un po’ per magia, la trasse in inganno.
Le fece credere cioè che la lampada custodita dal suo sposo era vecchia e non valeva nulla: gliela avrebbe cambiata con una bella lampada nuova.
La principessa, ignara di tutto, accettò.
Avuta fra le mani, finalmente, la lampada magica, il mago ordinò al genio di trasportare il palazzo di Aladino, con tutti i suoi abitanti, in Africa. E il genio non poté far altro che ubbidire.
Non appena tornato dal viaggio, non vedendo più né il palazzo né la principessa, Aladino comprese ciò che era accaduto.
Ma non si perse d’animo. Strofinò l’anello che aveva ricevuto tanto tempo prima dal mago e che sempre portava al dito.
Rapido apparve il primo genio, quello che lo aveva salvato dalla caverna dove il mago lo aveva rinchiuso.
"Riportami subito qui mia moglie e il mio palazzo, ovunque essi siano", gli ordinò Aladino.
Gli rispose il genio: "Ogni tuo desiderio per me è un ordine, padrone. Ma questo non posso esaudirlo. Perché l’incantesimo è stato compiuto dal genio della lampada, che è molto più potente di me".
"E allora portami dalla principessa", disse Aladino.
In men che non si dica, era già in Africa, nel suo palazzo, al fianco della sua sposa, disperata, in lacrime, perché temeva di dover dire addio per sempre ad Aladino, al padre, al suo Paese.
La felicità dei due, quando si riabbracciarono, è facile da immaginare.
"E adesso", disse Aladino alla principessa, dopo averle confidato la sua lunga avventura con il mago, "ci riprendiamo la lampada".
"Ma come?", rispose lei, dubbiosa.
"È facile. Inviti a cena il mago, che essendo un grande vanitoso, si lascerà conquistare dai tuoi complimenti. E tu gliene farai tanti..."
"Io, Aladino, fargli dei complimenti?".
"Sì, mia diletta. E lo farai bere tanto. Anzi, per essere più sicuri, metterai del sonnifero nella sua coppa di vino".
"Ho capito", sorrise la principessa.
Tutto avvenne secondo il previsto. Non appena il mago si addormentò, Aladino, che fino ad allora s’era tenuto nascosto, venne fuori, tolse la lampada dalle mani del mago e la strofinò. Ed ecco apparire il genio.
"Tu, genio", comandò Aladino, "porta questo mago dove nessuno lo possa mai più trovare. E riporta questo palazzo, con tutto ciò che contiene, in Arabia".
Così avvenne.
E in Persia, Aladino e la principessa vissero felici, a lungo.
Potrebbe darsi che, a cercarli proprio bene, magari con l’aiuto di qualche genio, si riesca ancora oggi a trovarli là.
"Mettilo al dito, non togliertelo mai. È un anello magico: ti sarà d’aiuto in tante occasioni. In cambio, tu per me dovrai fare una cosa: portarmi la piccola lampada che troverai in fondo alla caverna".
Incuriosito, Aladino a quel punto decise di spostare il macigno.
Sotto c’era una scala che scendeva, profondissima, e il ragazzo la discese. Si trovò così in una grandissima caverna, con degli alberi meravigliosi dai cui rami pendevano, invece dei frutti, grappoli di brillanti, e ce n’erano da riempire cento sacchi, a raccoglierli.
Aladino non sapeva che cosa fossero i brillanti, però il loro luccichio gli piacque. Così ne colse alcune manate e se ne riempì le tasche.
Vide anche la lampada. La prese, e cominciò a risalire verso l’imboccatura della caverna, dove il mago lo attendeva sempre più impaziente.
"Dammi la lampada, presto", gli ordinò il mago.
Era sua intenzione, non appena ottenuto ciò che gli stava a cuore, far ricadere il ragazzo nel baratro per lasciarvelo morire.
"No, prima voglio uscire", s’insospettì Aladino.
"Prima la lampada!".
"No. Prima mi tiri fuori!".
A questo punto il mago, arrabbiatissimo, disse una formula magica e l’imboccatura del sotterraneo si richiuse sul povero Aladino che, disperato, piangeva a dirotto. E mentre piangeva, passava inavvertitamente le dita sull’anello, strofinandolo.
Sappiamo già che l’anello era magico. Sollecitato a quel modo, esso rivelò subito i suoi poteri. Infatti, in una luce abbagliante, davanti ad Aladino apparve un genio.
"Comanda cosa vuoi", disse il genio ad Aladino inchinandosi, "e io ti accontenterò".
"Riportami subito a casa", fu la richiesta.
In men che non si dica, il ragazzo si ritrovò dalla madre, le mostrò le pietre preziose e la lampada che aveva con sé.
La donna trasalì, comprendendo la straordinarietà di quanto vedeva.
Nervosamente si mise a pulire la lampada che, essendo magica, era la casa di un genio ancor più potente di quello dell’anello.
Richiamato da quel gesto, il nuovo genio subito le comparve davanti.
"Sono al tuo servizio", s’inchinò. "Ordina e io ti esaudirò".
Fino ad allora, nella povera casa di Aladino si era sofferta la fame, perciò ella chiese una tavola imbandita con gustose vivande e buon vino.
Immediatamente la tavola fu apparecchiata: una tavola principesca, che ritornò tutti i giorni, due volte al giorno.
Sostenuto dalla buona sorte, Aladino smise di oziare, lavorò, si dette buon nome. La gente giunse persino a lodarlo, a riverirlo.
Un giorno Aladino intravide, non visto, la bellissima figlia del re che usciva a passeggio. Non visto, in quanto se ne stava nascosto perché, quando la principessa usciva in pubblico, tutti dovevano rinchiudersi in casa e non ardire di alzare gli occhi su di lei, pena la morte.
Ma la curiosità aveva indotto il giovane a dare una sbirciatina. E subito se ne innamorò.
"Madre, voglio sposare la principessa".
"Oh, povero figlio mio. Sei impazzito?", trepidò la donna.
"Mai stato più in senno, madre. Ecco qui una ciotola di brillanti. Vai in udienza dal re, che ti riceverà. E tu, offrendogli un dono così strabiliante, gli dirai che glielo mando io, e che voglio sposarne la figlia".
Tremando di paura per l’ardire, la madre di Aladino si recò dal re, e fece ciò che le aveva detto il figlio.
Visto l’inestimabile tesoro recatogli in dono, il re si rallegrò. Se regalava simili ricchezze al suo re, quel giovane ben poteva essere lo sposo della principessa.
Per celebrare degnamente le nozze, Aladino strofinò la lampada e chiese al genio di costruirgli un palazzo più bello di quello del re.
E subito, ecco sorgere dal nulla la nuova, meravigliosa dimora di Aladino e della sua sposa.
Tutto, dunque, sembrava procedere per il meglio. E non ci sarebbero state complicazioni di sorta nella vita dei due, se non fosse accaduto che il mago che aveva cercato d’ingannare Aladino, rimpiangendo continuamente la lampada perduta, non avesse insistito nei suoi esperimenti per sapere che cosa ne fosse stato del ragazzo, se egli fosse morto davvero nel profondo della caverna.
Seppe così che non solo Aladino era vivo, ma possedeva, oltre all’anello, anche la lampada magica. Perciò, pieno di stizza, ripartì alla volta dell’Arabia.
Quando vide lo splendido palazzo di Aladino, una rabbiosa invidia prese a tormentarlo. Non volendosi arrendere alla fortuna dell’altro, si travestì da mercante, attese che Aladino accompagnasse il re in un viaggio nei reami vicini, si fece ricevere dalla principessa e, un po’ con parole sdolcinate, un po’ per magia, la trasse in inganno.
Le fece credere cioè che la lampada custodita dal suo sposo era vecchia e non valeva nulla: gliela avrebbe cambiata con una bella lampada nuova.
La principessa, ignara di tutto, accettò.
Avuta fra le mani, finalmente, la lampada magica, il mago ordinò al genio di trasportare il palazzo di Aladino, con tutti i suoi abitanti, in Africa. E il genio non poté far altro che ubbidire.
Non appena tornato dal viaggio, non vedendo più né il palazzo né la principessa, Aladino comprese ciò che era accaduto.
Ma non si perse d’animo. Strofinò l’anello che aveva ricevuto tanto tempo prima dal mago e che sempre portava al dito.
Rapido apparve il primo genio, quello che lo aveva salvato dalla caverna dove il mago lo aveva rinchiuso.
"Riportami subito qui mia moglie e il mio palazzo, ovunque essi siano", gli ordinò Aladino.
Gli rispose il genio: "Ogni tuo desiderio per me è un ordine, padrone. Ma questo non posso esaudirlo. Perché l’incantesimo è stato compiuto dal genio della lampada, che è molto più potente di me".
"E allora portami dalla principessa", disse Aladino.
In men che non si dica, era già in Africa, nel suo palazzo, al fianco della sua sposa, disperata, in lacrime, perché temeva di dover dire addio per sempre ad Aladino, al padre, al suo Paese.
La felicità dei due, quando si riabbracciarono, è facile da immaginare.
"E adesso", disse Aladino alla principessa, dopo averle confidato la sua lunga avventura con il mago, "ci riprendiamo la lampada".
"Ma come?", rispose lei, dubbiosa.
"È facile. Inviti a cena il mago, che essendo un grande vanitoso, si lascerà conquistare dai tuoi complimenti. E tu gliene farai tanti..."
"Io, Aladino, fargli dei complimenti?".
"Sì, mia diletta. E lo farai bere tanto. Anzi, per essere più sicuri, metterai del sonnifero nella sua coppa di vino".
"Ho capito", sorrise la principessa.
Tutto avvenne secondo il previsto. Non appena il mago si addormentò, Aladino, che fino ad allora s’era tenuto nascosto, venne fuori, tolse la lampada dalle mani del mago e la strofinò. Ed ecco apparire il genio.
"Tu, genio", comandò Aladino, "porta questo mago dove nessuno lo possa mai più trovare. E riporta questo palazzo, con tutto ciò che contiene, in Arabia".
Così avvenne.
E in Persia, Aladino e la principessa vissero felici, a lungo.
Potrebbe darsi che, a cercarli proprio bene, magari con l’aiuto di qualche genio, si riesca ancora oggi a trovarli là.